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Alzheimer. A Pisa un centro all’avanguardia dove i malati restano umani

TARTA6

“Andiamo, si va a lavorare”. Comincia così la giornata di Enrico, 86 anni, da oltre 10 malato di Alzheimer. Dal 2013 frequenta il Centro di mantenimento delle autonomie, un progetto promosso dall’associazione La Tartaruga ed ospitato nella parrocchia di Santo Stefano di via Giovanni Pisano. Per 3 volte alla settimana passa la mattina in compagnia di un gruppo di anziani affetti dal morbo come lui. La sua passione sono i disegni geometrici da colorare, far scorrere la matita sul foglio facendo attenzione a non sconfinare lo rilassa. La precisione non gli manca, retaggio degli anni passati al banco dell’officina meccanica a produrre i pezzi per la Piaggio. Quando lo vai a trovare ti mostra con orgoglio la cartella che raccoglie tutte le sue creazioni.

Insieme a lui ci sono Elio*, ex sportivo e grande montanaro, Roberto*, che riesce ancora a leggere il giornale, commenta la campagna acquisti del Pisa e fino a qualche anno fa andava a trovare Romeo Anconetani al cimitero. C’è Carlo*, che di anni ne ha 57 e al collo ha una medaglietta nel caso in cui dovesse perdersi per la strada, “come i marines” scherza. Quando è arrivato al centro non riusciva praticamente più a parlare, all’anomia tipica delle prime fasi della malattia – la difficoltà a trovare i nomi delle cose – si aggiungeva una forte ansia. Attraverso un lavoro sulla respirazione, con tecniche proprie dello yoga e dalla meditazione, è stato possibile recuperare un eloquio fluente ed un migliore orientamento spazio-temporale.

A coordinare le attività del centro ci sono animatori, psicologi e fisioterapisti. Con gli anziani malati di Alzheimer portano avanti un programma di mantenimento delle facoltà psico-fisiche. C’è il gioco, c’è la ginnastica, il disegno e la pittura, le uscite all’aria aperta quando la stagione lo permette, le visite ai musei e ai quartieri di Pisa. Riabilitazione cognitiva, stimolazione a mantenere l’autonomia.

Al centro ci si ritrova, si fa colazione insieme, si legge il giornale, si guardano film e si ascolta la musica. Lasciando anche qualche ora libera alle famiglie, impegnate ogni giorno nell’assistenza quotidiana, spesso particolarmente complicata. L’obiettivo è quello di evitare (o almeno ritardare il più possibile) il ricovero in casa di cura, dare supporto alle famiglie – che in molti casi non sanno come comportarsi di fronte alla deriva della malattia – e dare la possibilità ai malati di sentirsi ancora parte della società. L’Alzheimer infatti porta alla morte civile.

 

 

A dar vita a La Tartaruga sono state Moira Marchionni – fisioterapista specializzata in riabilitazione – e Letizia Donati – attiva da anni nel campo del sociale. L’associazione opera dal 1999 nel settore ambientale (con il Comune di San Giuliano Terme ha collaborato al progetto con i bambini Saharawi) e in quello sociosanitario. L’idea originale è quella di andare a fare animazione nelle case di riposo, i “reclusori”, come si chiamavano prima della riforma. Siamo negli anni della nascita delle RSA, le Residenza sanitarie assistite, passaggio importante per la gestione dell’assistenza agli anziani. A Pisa la grande struttura di via Garibaldi, che ospitava 250 persone distribuite su 4 piani, vede dimezzato il numero dei pazienti nel giro di due anni. Il reclusorio comincia progressivamente a diventare un luogo di cura.

Nel 2002 La Tartaruga promuove uno studio effettuando una serie di test con gli anziani della struttura di via Avanzi, lo scopo è valutare l’incidenza di un certo tipo di attività psico-motorie sulla probabilità di ammalarsi di Alzheimer. I risultati dimostrano che i disturbi comportamentali diminuiscono. L’associazione porta le sue attività in via Garibaldi ed estende la collaborazione a tutte le RSA presenti sul territorio, con risultati molto positivi. L’idea è allora quella di provare a concentrarsi sull’intervento domiciliare, sfruttando i finanziamenti della Regione Toscana che in quegli anni comincia a puntare sulla domiciliazione.

Nelle RSA gli anziani colpiti da Alzheimer non fanno vita facile. “In via Avanzi – ricorda Moira Marchionni – il centro diurno per gli ammalati era stato posizionato all’ingresso, in una zona di passaggio che creava confusione nei pazienti”. L’approccio nei confronti della malattia, tuttora incurabile, è quello tradizionale e basato sostanzialmente sul trattamento farmacologico. Fino ad ora l’apertura delle istituzioni sanitarie nei confronti degli approcci alternativi, quelli che puntano sul mantenimento e sulla qualità del tempo passato con i pazienti, è stata piuttosto scarsa.

“Le cose stanno cambiando però” spiega Moira Marchionni, “abbiamo collaborato con AIMA (Associazione italiana malati di Alzheimer, espressione dell’Università di Pisa, ndr) ed insieme organizzeremo una mostra a Palazzo Lanfranchi. È importante fare sistema, anche in vista dell’aumento del numero di malati previsto nei prossimi anni, e lavorare sulla prevenzione”.

Per garantire la continuità assistenziale, al lavoro a domicilio nel 2009 si aggiunge quello svolto al Centro di mantenimento delle autonomie. La prima sede è in San Zeno, poi in mancanza di alternative l’associazione trova sede nei locali della parrocchia di Santo Stefano. Fino a gennaio 2014 ASL ha garantito la gratuità totale del servizio, per un totale di 25 interventi a domicilio e 52 giorni al centro. Dopo un periodo transitorio nel quale l’Azienda sanitaria ha coperto le spese per il primo anno, adesso il servizio è a carico delle famiglie, che contribuiscono in base all’ISEE. Per tutte le informazioni ci si può rivolgere ai Punti Insieme presenti sul territorio per un colloquio con un assistente sociale.

*nomi di fantasia

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Pubblicato il: 27 agosto 2014

Argomenti: Pisa, Sociale

Visto da: 7121 persone

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2 risposte a: Alzheimer. A Pisa un centro all’avanguardia dove i malati restano umani

  1. avatar Fabrizio Arnò scrive:

    Buongiorno,

    mi chiamo Fabrizio Arnò, ho 48 anni, vivo a Reggio Calabria e mio padre ha l’Alzheimer, una forma di demenza e non deambula. Inutile dirvi la trafila o forse dovrei chiamarla la Via Crucis che abbiamo subito. Medici, analisi, accertamenti, cambi di farmaci, modifica della somministrazione di questi ultimi… niente! Tutto è risultato vano. Ultimamente mi sono rivolto un medico, preparato e gentile che sta seguendo papà. E siamo arrivati al Seroquel che… inizialmente lo ha calmato ma dopo qualche mese ha cominciato a disfunzionare. Siamo passati, nell’arco di qualche mese, da 1 compressa a 1 compressa e mezza, a 2 compresse, 2 compresse e mezza… fino a quando a papà è venuta una sub-occlusione intestinale. Ospedali, medici, infermieri, radiografie, accertamenti… un susseguirsi di eventi che non hanno fatto altro che peggiorare la situazione. Adesso siamo alla frutta! Dobbiamo cercare di stabilire le origini di questa sub-occlusione e, se quest’ultima, è stata provocata dai farmici, capire come risolvere il problema.
    Ho sentito parlare del Citalopram e del Gammagard… Voi cosa ne pensate?

    Ogni suggerimento è ben accetto. Grazie

    Fabrizio

    • avatar Redazione scrive:

      Salve Fabrizio, ci dispiace non poter rispondere alla sua domanda ma essendo giornasiti e non medici non abbiamo competenze per rispondere alla sua domanda

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