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Eroe e truffatore, mito e vergogna. All’Arsenale un film su Marco Pantani

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di Andrea Vescio

Marco Pantani non era uno sportivo come gli altri, uno di quelli che vincono, perdono e riempiono le cronache sportive dei quotidiani. Marco Pantani è stato un eroe e un dio, un truffatore e un diavolo, un simbolo e una vergogna.

Negli anni novanta Marco Pantani è stato l’emblema di uno sport bellissimo che ha fatto di tutto per autodistruggersi, per essere messo all’indice e collocato in prossimità del Male più assoluto.

Pantani, scrive Gianni Mura, diceva: “Vado forte in salita per abbreviare la mia agonia”

C’è una prima differenza da fare: i ciclisti, quando gareggiano, non sono tutti uguali, ognuno ha una caratteristica installata in qualche parte del codice genetico che norma le gambe, il cuore e i polmoni. Marco Pantani era uno scalatore, uno che andava forte in montagna, quando le gambe diventano pezzi di legno e non vogliono più accompagnare la pedalata, quando mettere un respiro dietro l’altro è come sgranare un rosario mortale. Pantani, invece, era proprio sulle montagne che vinceva le sue gare, quando si alzava sui pedali e staccava gli avversari uno dopo l’altro. Lo vinse proprio così il suo primo “Giro D’Italia”, sull’ultima salita della tappa di Montecampione.

Se andate a cercarvi ora il video su youtube, con il commento emozionato di Adriano De Zan, potrete capire benissimo il senso dell’espressione “staccare il suo avversario”. C’è un momento in cui Pavel Tonkov, il suo avversario, si abbandona alla salita, si risiede sui pedali e comprende che non c’è più nulla da fare, che Marco Pantani è partito veloce e quel Giro D’Italia è suo.

Pantani, scrive Gianni Mura, diceva: “Vado forte in salita per abbreviare la mia agonia”. Chissà se veramente ha detto una frase così, che dà tutto il senso di che cos’è il ciclismo più bello, quello che sfida le salite, che sa di fatica e coraggio e che è fatto di uomini che immaginiamo profondi e saggi, capaci di stare a pedalare per ore attraversando pezzi di mondo.

Chissà se l’ha detta davvero una frase così e chissà se ci ha ripensato il 14 Febbraio 2004, nel residence dove lo hanno trovato morto. Non sappiamo cosa sia successo quella notte lì, non sappiamo se è stato un omicidio o se davvero è morto di overdose, solo e stanco di un mondo che lo aveva abbandonato. Ora se ne riparla di nuovo di Marco Pantani, si cerca una ragione a quella morte e sembrano venire fuori ombre inquietanti su un intero sport che ha visto crollare i suoi miti uno dopo l’altro. Si parla di scommesse, camorra e si vanno ad interrogare vecchi boss come Vallanzasca.

Marco Pantani negli ultimi anni era un uomo solo perché nello sport funziona così, chi cade è caduto e, in fondo, uno scalatore lo sa che più è alta la montagna e più la discesa è ripida e pericolosa.

Mercoledì 10 Dicembre CineClub Arsenale, Associazione The Thing e Biciclettas Blues presentano: “Pantani: The Accidental Death of a Cyclist” di James Erskine alle ore 20.30. Dalle ore 19.30 in occasione della presentazione del documentario il Barsenale servirà un apericena a tema “Giro d’Italia”. Con dieci euro sarà possibile assistere alla proiezione e gustare un piatto con quattro assaggi di piadine a base di ricette regionali, accompagnate da un bicchiere di vino rosso.

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Pubblicato il: 9 dicembre 2014

Argomenti: Cultura, Pisa, Sport

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