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DiSbieqo Vizio di forma, Paul Thomas Anderson (2014)

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Personaggi bizzarri, una trama narrativa lacunosa, ma una bella fotografia e la mimica del meraviglioso Joaquin Phoenix


vizio_forma5Qualche critico ha osannato questo film, dichiarando che avrebbe meritato l’Oscar. Noi non siamo della stesso avviso.
La storia – anche se occorre uno sforzo immaginativo che ne colmi le lacune narrative per essere tale – vede un investigatore privato dalle origini italiane, Doc Sportello (il nome già risulta assai naïve) all’opera verso la fine degli anni ’60 nella Los Angeles tossica ed estremista. La sua ex, Shasta Fey – figura emaciata in abiti acidi e mini – gli affida il compito di investigare sul mistero che circonda la sua nuova fiamma, l’immobiliarista Wolfmann, al centro di un intrigo organizzato dalla moglie e dall’amante di lei, che intendono internarlo in manicomio per soffiargli il suo ingente patrimonio.

vizio_forma2Bene, dopo questo inizio chiaro, in cui ancora siamo padroni della trama, parte un viaggio tra i meandri narrativi – o tra lo sballo della droga? – che ci farà smarrire per una buona metà del film. Nel teatrino surreale che la storia mette su si alternano personaggi bizzarri, soprattutto fattoni, musicisti, malviventi e misteriose apparizioni, come la Golden Fang, al contempo un vascello fantasma e un’associazione di odontoiatri evasori. Sullo sfondo di Gordita Beach, la storia non storia si intriga su se stessa, perdendo ritmo e verve e risultando noiosa ed esasperatamente lunga. Il personaggio Bigfoot Bjornsen, ispettore della Omicidi, ben interpretato da Josh Brolin, sembra un riflesso speculare dello stesso Doc, come due parti dello stesso uomo, nell’assurdità dell’evoluzione narrativa, come due pezzi di un puzzle che però non riuscirà ad essere accorpato in una logica sicura e coerente.

viziodiforma1La fotografia, va ammesso, è bella, nella sua pastosa risoluzione e nelle sue sfumature di luce e controluce, ed è bella anche la mimica del meraviglioso Joaquin Phoenix che riempie lo schermo con i suoi primissimi piani in cui dà il meglio di sé nella follia nebulosa dell’erba che fuma per tutto il film. Tratto dal romanzo di Thomas Pynchon, il film diverge e divaga, volutamente oscuro nella trama che non si fa trasparente, che si attorciglia su se stessa e che mette lo spettatore nella condizione di farsi domande su domande, e rimanere definitivamente frustrato e deluso. Sortilège, personaggio ambiguo e rarefatto, visionario e nebuloso, è la voce over, che ci accompagna per le due ore e mezza di visione – e se non ci fosse stata avremmo capito anche meno! La locandina esemplifica perfettamente il caos del film.

Nonostante Benicio Del Toro e Owen Wilson, nonostante il clima da “Il grande Lebowski”, il film non decolla, rimane impantanato per una buona metà, e il finale un po’ più brioso – nonostante sia impossibile capire come il caso si sia risolto – non lo salva dalla noia vera, quella che ha fatto alzare dalla sala molti spettatori prima della fine.

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Pubblicato il: 2 marzo 2015

Argomenti: DiSbieqo, Quaderni

Visto da: 1002 persone

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