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Lenticchie I Tamarricchi

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Come si chiamano quei tipi che li vedi che non avranno nemmeno trent’anni e si vestono impettiti e inamidati come affaristi newyorkesi? Quelli che magari c’hanno pure il sigaro che esce dal taschino della giacca e il rolex al polso?


Al bar, davanti al bancone, sostano due distinti ragazzi. No, signori. No, nemmeno.
Come si possono chiamare quei tipi che li vedi che non avranno nemmeno trent’anni e si vestono impettiti e inamidati come affaristi newyorkesi? Quelli che magari c’hanno pure la montatura vintage degli occhiali, il sigaro che esce dal taschino della giacca e il rolex al polso? Che se poi gli vai a chiedere che ore sono tirano fuori il telefono?

È che rientrano in troppe categorie insieme, e diventa difficile catalogarli. Sono un po’ caciaroni e anche un po’ snob, un po’ figli di papà e un po’ disoccupati, un po’ boriosi e un po’ pellai, un po’ vanesi e un po’ gonzi.

Vabbè dai, i Tamarricchi. Quelli che se gli cadono venti euro per terra non li raccattano e al ristorante ordinano il vino della casa che “è il migliore”. Una pacchia per gli osti di tutta Italia, che aspettano loro per tirare fuori dalla credenza il famigerato Sangiovese Spremuta di Ferrovia DOCG.

Insomma, questi due fulgidi esempi di Tamarricchi – di calzino bianco e mocassino pitonato muniti – stanno davanti al bancone del bar e ordinano due caffè.
Ma mica due caffè normali.

– Per me uno lungo al vetro, non troppo caldo che po’dopo mi strino.
– Per me un macchia’o con latte freddo. A parte, grazie.


Arrivano i due caffè.
Col bricco in porcellana per il latte a fianco.
Litigano come due colombi in amore su chi debba pagare quei due euro sacrosanti finché uno cede la resa e permette al secondo di saldare.
Tamarricco 1 tira fuori un pezzo da cinquanta e guarda il barista con il visino desolato del vecchietto che va a ritirare la pensione alla posta.

Unciò spicci…


Tamarrico 2, trionfante, urla MA ALLORA LO VEDI CHEMMIDEVI DA’RRETTA?!, e apre il portafogli.

Pigliavì, li pago tutti e due.


Frattanto, il barista ha messo su una faccia a metà tra i calcoli biliari e mamma orsa che ha appena visto i suoi cuccioli presi in braccio dai bracconieri e ringhia Oh grrrrrrrazie.

Ignari della commedia che hanno appena inscenato, i due se ne vanno, salvo tornare indietro una decina di secondi dopo e chiedere

Mi scusi eh, ma uncè mia un posto qui ne’ppressi dove si mangia bene checciò una fame abbaio (sic)?


Il barista tentenna. Il suo amico Pino, della Trattoria da Pino detta Lammerda, gli ha confessato di avere un paio di bocce di Sangiovese nòve nòve da ammollare al primo deficiente che gli chiede il vino bòno della casa.
È pur vero che questi due, tutto sommato, sono innocui. Sono solo Tamarricchi. Tamarricchi affamati, per la precisione, e sarebbe vile approfittarne per il gusto di una piccola rivalsa gastro-intestinale.

Del resto, come lui non ha scelto di passare una vita dietro un bancone, loro non hanno scelto di essere abituati a buttare via le giacche senza un bottone, invece di ricucirle. Il buon cuore e un’inconsapevole propensione al determinismo sociale stanno per prendere il sopravvento, quando Tamarricco 1, da fuori, cinguetta una soluzione alternativa a Tamarricco 2, ancora in attesa di risposta:

– Lascia sta’, andiamo a chiede’ al bar lì all’angolo vai che è méglio.
– Aspetta oramai son dentro, fammi senti’ che dice luqquà (indicando con il pollice il barista poco prima votato alla santità). ‘nsomma? Dove si pòle anda’ che sennò il mi’ ami’o mi lascia dassolo qui?

Prendete il primo vicolo a destra una volta usciti dalla piazza, proseguite e alla prima traversina, sempre a destra, trovate l’insegna di un ristorantino che è la fine del mondo: Trattoria da Pino. Cibo artigianale. Prodotti tipici. Un vino della casa che ti porta in paradiso.

Rien à dire.
Alessia Terrusi

 

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Pubblicato il: 29 marzo 2015

Argomenti: Cultura, Lenticchie, Quaderni

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