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Città del Teatro: “In ballo ci sono i soldi della comunità, serve trasparenza”

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Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta di Francesca Pompeo, lavoratrice de La Città del Teatro, indirizzata al Presidente della Fondazione Sipario Toscana,  Michelangelo Betti, al Sindaco di Cascina, Alessio Antonelli e al Presidente della Provincia,  Marco Filippeschi


Sono a porvi  alcune questioni che purtroppo non hanno avuto fino a oggi risposta né attraverso varie interpellanze politiche né attraverso il “confronto sindacale”.

Allora faccio direttamente le mie domande nella speranza di ricevere delucidazioni e di avere tutte quelle informazioni che ogni amministratore della cosa pubblica dovrebbe avere il dovere di fornire a qualsiasi cittadino che ne facesse richiesta.

Il condizionale è una tragica conseguenza di quanto sta succedendo. Mi pare che la cosa più grave che sta emergendo dalla vicenda Città del Teatro sia questa totale sordità della politica e delle istituzioni a qualsiasi richiesta di trasparenza.

Ma ricordo al Presidente, al consiglio di amministrazione della Fondazione, al Sindaco di Cascina, al Presidente della Provincia che stiamo parlando di cosa pubblica. La Fondazione Sipario Toscana riceve contributi dal Comune, dalla Regione e dallo Stato.  Quelli di cui si parla sono soldi pubblici. Dovreste avere il dovere di rendere conto del vostro operato. Non si tratta di un’impresa privata. In quel caso chi amministra può anche prendere decisioni autonome e autoreferenziali, decisioni per le quali si assume tutti i rischi.  Ma qui i soldi sono della comunità e alla comunità dovreste rispondere del vostro operato.

Se un cittadino chiede conto di alcune operazioni, pagate con i soldi dei contribuenti, bisogna che rispondiate. A maggior ragione se a porre le domande sono i lavoratori della Città del Teatro che contribuiscono quindi al funzionamento del bene pubblico che voi siete chiamati ad amministrare.

O si pensa di poter ovviare a questa assunzione di responsabilità verso lavoratori e cittadini attraverso il clima intimidatorio che Presidente e Direzione Amministrativa hanno instaurato da quando è partita la mobilitazione?

Non vi pare insostenibile che persone che lavorano da anni in questo teatro e che da anni fanno sì che questo teatro viva improvvisamente siano divenute irresponsabili? E che improvvisamente ci sia bisogno di continui richiami disciplinari, provvedimenti. Da quando è partita la mobilitazione fioccano raccomandate, allontanamenti del personale a giornata dissidente, negazioni di permessi, recuperi forzati. Oltre a un aumento dei costi questa strategia mi pare curiosa. Magari i consulenti legali che continuamente circolano alla Città del Teatro, previo emolumenti, troveranno una definizione formalmente più corretta, ma non vi pare si possa chiamare strategia di intimidazione?

Magari non è così. Non c’è né intimidazione né elusione di responsabilità. Magari è solo una malfunzionante comunicazione. Allora provo a porvi alcune domande direttamente, così da semplificare i processi informativi.

Il Presidente è in carica dal 2011. Dovrebbe presiedere un consiglio d’amministrazione che nei fatti non c’è più. Oltre al presidente è ancora in carica Fabiano Martinelli, consigliere del Comune di San Giuliano, comune che negli anni ha progressivamente diminuito il contributo alla Fondazione,  fino a eliminarlo del tutto nel  dicembre 2014. Da allora non c’è più alcuna convenzione, non ci sono  contributi del Comune alla Fondazione né accordi di gestione relativi al Teatro di Pontasserchio. In definitiva nessun rapporto fra Comune di San Giuliano e Fondazione. Ciononostante Martinelli non si è dimesso. Si è dimesso invece Alessandro Caprai, rappresentante della Provincia di Pisa, a gennaio del 2015 non lavorando più lui in Provincia. Ma il posto resta vacante poiché da gennaio a oggi la Provincia non ha nominato nessuno.

Il piano di rientro è quindi portato avanti dal Presidente e dal Direttore Amministrativo, figura anomala, rientrato nel 2014 alla Città del Teatro con contratto a progetto ma con  funzioni di direzione amministrativa e del personale. Sono poi sempre più presenti alcuni consulenti legali. Il piano di rientro consiste nel taglio del personale. È già dato di fatto il licenziamento del direttore tecnico e sono previsti nuovi tagli o la riduzione dello stipendio per tutti i tempi indeterminati.

Domanda: non sarebbe opportuno procedere a una revisione del sistema di consulenze esterne, di tutti questi collaboratori a progetto o a incarico in ruoli artistici ed amministrativi di primo piano, di tutte queste consulenze e segretarie, di tutti questi legali?  Valutare la pertinenza di  varie figure con contratti a progetto ma con ruoli e funzioni che non hanno attinenza con alcun progetto? Come mai la revisione dell’organico e del personale non va di pari passo con la revisione di tutte queste spese?

Faccio presente che io non sono una lavoratrice a tempo indeterminato, non difendo posto fisso o privilegio, come lo chiama il Sindaco. Io lavoro per la Fondazione dal 1998 come attrice e regista con contratti a giornata, come quasi dovunque sono i contratti previsti per attori e artisti, o con progetti di formazione. La mia è davvero la posizione di chi lavora se ci sono progetti produttivi o formativi. Lavoro se c’è attività. E mi pare che questa non manchi. Il dissesto non è sulle attività ma sulla gestione.

E come si pensa di correggere questi errori di gestione? Il Presidente ha affermato che tutte le altre possibili proposte per un risanamento, a parte il taglio del personale, sono irricevibili. Perché?

L’edificio del teatro è in condizioni disastrose. Basta venire a vedere. L’immobile casca a pezzi. Non sarebbe opportuno pensare a una diversa gestione degli spazi, supporre affitti di parti e lotti per avere maggiori entrate e possibilità maggiori di manutenzione?
L’immobile necessita di una manutenzione. Mi pare che molti degli obblighi sulla sicurezza dell’immobile nonché molte delle procedure per la sicurezza sul luogo di lavoro siano eluse o deficitarie.

Forse davvero ci sarebbe la necessità di un reale piano di risanamento e di riorganizzazione.  Magari accompagnato da un piano di sviluppo gestionale.
Qual è il vostro disegno sul teatro di Cascina? È possibile saperlo, essendo coinvolti in prima persona come lavoratori ed essendo cittadini e contribuenti?

Ma forse non c’è un piano di sviluppo, di gestione a lungo termine. Forse questo è un intervento di emergenza per un immediato rientro economico. Forse la lettera della Regione Toscana (ente di vigilanza su tutte le Fondazioni) arrivata a marzo 2014 nella quale si chiedeva un intervento di risanamento per ricostituire il fondo di dotazione e risanare le perdite , ha fatto sì che Presidente e collaboratori pensassero a un piano di rientro immediato, un piano che pur senza agire sulle cause del dissesto, ripianasse il debito della Fondazione  di 688 mila euro.

Pare servano circa 90.000 euro annui a partire dal 2015. Si apprende che la Fondazione ha chiesto alla Banca di Pisa e Fornacette un finanziamento, la cui rata annua sarebbe appunto di 90 mila euro per 8 anni, per risanare il debito.

Io non sono affatto esperta di bilanci ed economia. Certo il Presidente, pur non avendo questa formazione, in questi anni (dal 2011)  alla guida della Fondazione ha fatto abbastanza esperienza per capirne più di me. E certo è contornato da esperti del settore, direttori e consulenti. Qualcuno può spiegarci allora il procedimento? È lecito che una Fondazione chieda un finanziamento a una banca per risanare un debito? E se anche è lecito, può definirsi opportuno? Foriero di una qualche azione di risanamento?

Se il piano fosse solo un tentativo di rientro immediato, mi pare poco lungimirante. Se il piano è invece una reale azione di ristrutturazione aziendale, mi spiegate il criterio?

Il metodo spesso è anche il merito delle questioni.

Francesca Pompeo

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Pubblicato il: 26 maggio 2015

Argomenti: Economia-Lavoro, Lungomonte

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