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Hinengaro Viaggio: opportunità per resettare il cervello

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Viaggi. Torniamo dalle ferie estive. Rientro sempre un po’ faticoso. Tornare alle routine, agli impegni, ai problemi di sempre.

Ma siamo riusciti a staccare veramente?

Su questa questione rimando ad un interessante contributo di Daniel J. Levitin psicologo cognitivo, scienziato, musicista, apparso su Repubblica del 13 Agosto 2014 (nella traduzione di Fabio Galimberti). Levitin ci dice che bisogna stare in guardia dalle false vacanze e che bisogna staccare veramente. “Ogni giorno siamo assaliti da tutte le direzioni da fatti, pseudofatti, aggiornamento di notizie e chiacchiericcio forsennato. E ci si sente sopraffatti perché la capacità di elaborazione della mente cosciente è limitata”.

Se riusciamo a tenere a freno il multitasking e a concentrarci su un singolo compito per periodi prolungati, vediamo che la creatività aumenta in modo naturale

“Ogni aggiornamento di stato su Facebook, ogni tweet o sms che ricevete da un amico contende le risorse del vostro cervello a cose importanti… Se riusciamo a tenere a freno il multitasking e a concentrarci su un singolo compito per periodi prolungati, vediamo che la creatività aumenta in modo naturale… Le pause sono un ricostituente biologico… Diversi studi hanno dimostrato che passeggiare nella natura o ascoltare musica costituiscono una sorta di reset neurale capace di abbassare i livelli di stress e produrre creatività.”

E allora staccare diventa fondamentale per il nostro equilibrio mentale. Ma lo è ancora di più saper staccare. Cioè essere capaci di fermare il flusso di informazioni e azioni connesse che hanno attivato comportamenti e automatismi.

Questa è la fondamentale differenza tra chi sa staccare, ad esempio attraverso l’esperienza del viaggio, e chi no.

Il viaggio
. Metafora per eccellenza dello spostarsi da luoghi, abitudini, sensazioni per aprirsi a luoghi diversi, con la mente ricettiva e aperta. E ciò avviene se ti sposti non solo fisicamente ma, diremmo, con la mente e con l’anima.

Pensiamo alla grande tradizione del viaggio romantico. Il Viaggio in Italia che da fine ‘700 in poi ha nella tradizione anglosassone un profondo significato catartico. Purificarsi immergendosi totalmente nell’arte, nella cultura, nel paesaggio. Fondersi con la bellezza.

Spesso incontriamo diverse tipologie di viaggiatori. Ma chi ha viaggiato con il cuore lo percepiamo immediatamente quando gli parliamo. Al suo ritorno, sentiamo qualcosa di nuovo, sta raccontando ed è qui ed è anche altrove (forse una parte di lui è focalizzata sulla prossima tappa che ha già programmato), mostra una “distanza di sicurezza” o di non coinvolgimento (sana) con le cose, glielo leggiamo negli occhi: non è distratto, anzi, ma ci guarda in un modo speciale, guarda, ma guarda anche altrove, ha conservato una passione, una febbre sotterranea, torna dall’esperienza diverso. E ciò al di là dell’itinerario o del luogo visitato. Non si tratta di dove è stato e cosa ha visto, ma di come.

Questo è il punto: quando viaggiamo ci facciamo coinvolgere dalle cose, dalle persone, dalle esperienze o la barriera psicologica e culturale non ci permette di vivere pienamente le esperienze?

È, credo, esperienza comune l’amico che ci racconta viaggi meravigliosi e suggestivi in luoghi esotici, ma ascoltandolo si ha la strana sensazione che poi tutto gli sia scivolato addosso. Stesse nevrosi, stessi tic. Ha viaggiato nel deserto o visitato luoghi impronunciabili ed esclusivi, ma continua ad avere paura di uscire la sera o di guidare o si lamenta e si annoia per le solite cose o se va a cena con gli amici frequenta il solito ristorante. Le abitudini di sempre. E allora ci chiediamo dove sia finito il patrimonio di cose che ha visto? Ma lo ha visto veramente? È entrato “dentro” le cose o è stato uno spettatore?

Perché il rischio di questo tipo di viaggio è che alla fine le esperienze non si interconnettono ma vengono vissute in maniera “dicotomica”, a compartimenti stagni.

Viaggiare è anche imparare

E cosa abbiamo imparato dal nostro viaggio? Si, perché viaggiare è anche imparare. Imparare dalle relazioni, dalla natura, dalle persone.
La curiosità e l’apertura sono le altre molle fondamentali. Ma per attivarle dobbiamo in un certo qual modo “dimenticarci”. Mettere in secondo piano il nostro egocentrismo psicologico e culturale. Il “buon” viaggiatore si porta dietro uno stile piuttosto informale, capace di adattarsi rapidamente a situazioni nuove, contesti diversi.

Il cammino di Santiago, sta diventando per tante persone sempre più una sorta di viaggio per antonomasia perché viaggio interiore. Non devi visitare pinacoteche o edifici storici, devi “solo” camminare. In questo gesto essenziale, semplice, che ti accompagna quotidianamente, pian piano annulli la tua mente, ti concentri su ciò che conta, sulla fatica, sulle storie dei viandanti che incontri, sul dolore o la gioia dell’altro e vai avanti, con i calli, con il caldo, con il sudore, con la solitudine, con il silenzio che è silenzio, con il buio che è buio, con te stesso vicino ai tuoi limiti. E quando torni sei cambiato perché hai permesso alle cose di entrare e hai fatto pulizia, vuoto. E riconosci da questo chi ha fatto il cammino. Glielo “leggi” sul corpo, nel tono di voce, nel respiro, prima ancora di qualunque fatto o episodio che potrà raccontarti.

Da un viaggio dell’anima possiamo portarci dietro un sacco di cose, semplici, nuove, originali. Nuovi luoghi, nuove storie, nuove persone. Spesso è possibile sperimentare che da qualche parte si può vivere in maniera diversa, forse più essenziale. E ciò al di là che si vada in paesi “poveri”.

Si capisce cosa è essenziale e cosa non lo è. O almeno abbiamo la possibilità di modificare la scala delle priorità. Forse impariamo ad attenuare (liberarsene sarebbe pretendere troppo) l’ossessione del consumo e del possesso.

Certo i contesti influenzano molto. Quando si torna ci si confronta con gli impegni, la realtà lavorativa di sempre, il tuo superiore, il tuo lavoro, le scadenze, ecc., ma si acquisisce un po’ di libertà in più. Un po’ di leggerezza.

E citando ancora l’ articolo dello psicologo statunitense, Levitin conclude ricordando che certe professioni che richiedono un elevato livello di attenzione, richiedono pause frequenti. “Vogliamo che il nostro medico ci dia la risposta giusta, non che ci dia sempre la risposta più veloce. Non vogliamo che il pilota del nostro aereo o il controllore di volo si distraggano mentre stanno lavorando, ma vogliamo che abbiano l’opportunità di resettare…”. E ciò ha evidenti benefici per la collettività.

“Se riuscissimo a prenderci vacanze regolari, vacanze vere, senza lavoro, e riservare del tempo per sonnellini e contemplazione, saremmo in una posizione molto migliore per cominciare a risolvere alcuni dei grandi problemi del pianeta. E per farlo più contenti e ben riposati”.

Cosa significa il nome di questo Quaderno: Hinengaro? Lo scoprirete la prossima settimana su paginaQ! Non mancate

 

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Pubblicato il: 29 settembre 2014

Argomenti: Hinengaro, Quaderni

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