MENU

VideogioQ Pietra su pietra

tetrisnatale

Cari cosi & care cose, vi siete comportati bene quest’anno? Da bravi, prendetevi un bicchiere di porto e venite ad ascoltare il raccontino di Natale in collo al vecchio zio Monge. Visto che quest’anno siamo arrivati in anticipo di qualche mese a festeggiare il decennale di Cave Story, nessuno si arrabbierà se sforiamo un po’ sul trentennale del leggendario Tetris. Vi vedo che fate su e giù col capino… Quando s’inizia a parlarne tutti annuiscono con aria più o meno complice, come se di questo gioco si fosse già detto tutto o, peggio ancora, esso fosse qualcosa di naturale anche per i giovinastri, come l’atto di respirare. Giusto? Sbagliato!

Ecco perché vi fanno vedere lo zio Monge solo per le feste. È quel tipo di zio.

La nostra storia comincia in Unione Sovietica nell’anno 1984. Al Centro di Calcolo dell’Accademia Russa delle Scienze il giovane programmatore Alexej Pazhitnov, appassionato di rompicapi, sviluppa la prima versione di Tetris. Nel giro di un paio d’anni perfeziona il gioco assieme ai compagni Dmitry Pavlovsky e Vadim Gerasimov: quest’ultimo è specializzato in Turbo Pascal, e sarà la sua versione per MS-DOS la prima a vedere un’ampia diffusione. Vale la pena, tuttavia, di cercare immagini o video della versione originale di Pazhitnov, austera quant’altre mai, con la grafica fatta di caratteri (e scritte in russo) verdi su sfondo nero.

Questa si gioca con il tastierino numerico e le regole sono già quelle che il mondo imparerà a conoscere: disporre pezzi in caduta libera sul fondo di un pozzo finché questo non si riempie. Il pozzo è largo dieci quadrati e alto venti, i pezzi (sarebbe a dire i tetramini) sono tutti composti da permutazioni di quattro quadrati, e le linee orizzontali che riuscite a piazzare svaniscono all’istante, lasciando cadere i pezzi soprastanti. La velocità dei pezzi in questa versione non aumenta (la scegliete all’inizio), e non è possibile vedere il prossimo tetramino che entrerà in gioco, né, tantomeno, è possibile vincere.

Con il poco che sappiamo sui passaggi e gli aggiustamenti che hanno portato a questo primissimo Tetris, provate un attimo ad immaginarvi mentre imbrigliare un simile tuono all’età di ventotto anni.  Quando la sua fama esploderà, Tetris diventerà sinonimo di puzzle (e di videogioco) e sarà il primo di una lunga serie di titoli con blocchi che cadono in un pozzo, ma quanto c’è del puzzle (e del videogioco) in ciò che abbiamo davanti? L’unica storia che si racconta qui è quella della sconfitta del giocatore. Niente viene simulato, tranne un po’ di fisica. Non ci sono personaggi riconoscibili, che invece in sala giochi impazzano e ai quali già s’inizia a costruire giochi attorno, invece del contrario. Se Tetris sarà la quintessenza del videogioco è per il suo porvi contro qualcosa che sarà sempre più forte di voi, in una gara di destrezza eterna. Un po’ come tenere una scopa in equilibrio sul naso.

Asettico, astratto e crudele, Tetris sarà al centro di una storia di diritti, morti misteriose, spionaggio e tradimenti, magistralmente riassunta nel documentario della BBC From Russia with love. Alla fine di questa catena di vicende si trova la popolarissima versione per Game Boy del 1989, la quale fa poco ma lo fa davvero bene: viene inclusa in Occidente con la console, si controlla comodamente tramite la croce direzionale e i due pulsanti, e permette di giocare in due. Nel comparto grafico-sonoro vengono riciclate con eccellente perizia le soluzioni che già molte versioni precedenti per home computer avevano adottato, richiamando Santa Madre Russia nelle musiche e nell’iconografia.

Nel frattempo chi non può averlo legalmente si fa il suo Tetris, e dappertutto fioccano variazioni più o meno azzeccate. Una di queste, Puyo Puyo (1991), inaugura un sottogenere concentrandosi sulle sfide uno contro uno tra personaggi giappogommosi. C’è anche dell’altro, perché questo gioco è tutto basato sull’anticipare l’avversario piazzando concatenazioni di pezzi, ma a noi serve per introdurre Tetris Battle Gaiden (1993), un piccolo cult per Super Famicom da giocare in due. Le regole di base sono le stesse, ma prendendo spunto da Street Fighter II, si sceglierà il proprio avatar tra otto variegati omarini (tra cui una donnina), ognuno con le proprie mosse speciali. Mosse che si attivano a mezzo di sfere incorporate nei tetramini che eliminate dal campo di gioco. S’influisce così sul proprio pozzo, o su quello dell’avversario, o ancora andando a inibire temporaneamente alcune facoltà dell’altro giocatore. Un’ulteriore finezza è che entrambi pescherete in automatico dalla stessa sfilza di tetramini, e se volete impedire all’altro di dotarsi di un particolare pezzo potete anticiparlo e far sì che questo capiti a voi. Così, una partita tra pari può durare parecchio, il che è giustamente scimmiante ma non è proprio il massimo se siete ad una festa.

Quasi dieci anni dopo, Tetris Worlds (2002) dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, che ogni nuovo Tetris rispecchia la sua epoca. Non solo è uscito a prezzo pieno su PS2, Gamecube, Xbox e GBA, con una pletora di modalità aggiuntive e la possibilità di giocare sino in quattro, ma si è addobbato di un’improbabile storia, che poi è ad essere onesti l’unico motivo per ricordarlo, a meno di voler menzionare la modalità che v’insegna a giocare introducendo un tetramino per volta. Ma non insultare la nostra intelligenza, Worlds, raccontaci piuttosto come l’atto di formare linee orizzontali serva in realtà a teletrasportare su altri pianeti degli esseri meccanici in fuga da un mondo morente. Così forse saremo disposti a spendere una cifra a tre zeri per giocare a Tetris su una console nuova di pacca.

Ci siamo distanziati già abbastanza dalla nostra tesi di fondo, quella che vuole questo gioco come qualcosa di fondamentalmente algido e ostile, e che non è tuo amico, per quanto lo si voglia festonare e rendere rassicurante. E per questo non c’è versione migliore di Bastet, ovvero Bastard Tetris (2005?), creatura di Federico Poloni, che poi è ricercatore universitario proprio in quel di Pisa! Come il capostipite, si gioca in modalità testo, ad esempio sul terminale di Linux, con la significativa differenza che l’algoritmo soggiacente è tutto dedicato a non fornirti il tetramino di cui hai bisogno in quel momento, indicandotelo pure laddove tradizionalmente c’è la finestra del prossimo tetramino.

Eh sì. Hai appena tratto di tasca gli spicci per poter entrare nel tendone del misterioso extraterrestre, che da trent’anni è prigioniero del suo impresario circense. La creatura, che in teoria dovrebbe leggerti la mente e rivelarti qualcosa di te che altrimenti è del tutto insondabile, inizia a urlare e darti calci negli stinchi. Questo è Bastet, e questa è la metafora con cui voglio finire il 2014. Fate i bravi.

Tommaso Mongelli
www.fandonia.net

Download PDF

Scritto da:

Pubblicato il: 25 dicembre 2014

Argomenti: Quaderni, VideogioQ

Visto da: 731 persone

, , ,

Post relativi

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi paginaQ per email

Ciao!
Iscriviti alla newsletter di Pagina Q
Se lo farai ci aiuterai a far vivere l’informazione nella nostra città e riceverai la versione mail del quotidiano.
Naturalmente non cederemo a nessuno il tuo indirizzo e potrai sempre annullare la tua iscrizione con un semplice click sul link che troverai in ogni nostra mail.