Scrivere un pezzo sul fatto di non voler scrivere un pezzo di chiusura sarebbe geniale, anche se fastidiosamente svincolante. Forse il modo migliore per chiudere un capitolo è spiegare il senso del titolo che porta
Allora, io ci ho provato a scrivere un pezzo d’addio, giuro. Avrò vagliato almeno quarantasei incipit tra Beh eccoci qui o Come tutte le più belle cose finiscono o Scialla rega’, biretta?. Ho pure attaccato youtube e qualche pezzaccio strappacuore di quelli che ascolti quando ti lasciano e stai per tiratti da un ponte.
Eppure niente. Oh, niente.
Manco una parola, manco una briciola di ispirazione all’estremo saluto.
E allora, ho pensato, forse il problema è che sto sbagliando prospettiva.
O meglio, il problema sta nella parola “addio” che dà a tutto quella sfumatura di non ritorno che proprio non mi cala, mi si ripropone come l’insalata russa dell’aperitivo e non va né su né giù.
Quindi che scrivo a fare un pezzo d’addio? Sarebbe credibile come se parlassi delle gioie dell’avere una seconda di reggiseno quando vai al mare con le tue amiche maggiorate, perché loro saranno pure maggiorate, ma tu puoi prendere il sole sdraiata sulla pancia. Eh. Eccerto. Che culo.
No, niente da fare. Pezzo d’addio bocciato senza possibilità di salvezza.
Vado meglio sui ringraziamenti, probabilmente perché ho molte più persone da ringraziare che da abbandonare. Epperò pure i ringraziamenti sono una forma paraculante di addio. Quindi come fai a spennellare di gratitudine millemila persone senza poi chiosare con Beh eccoci qui, Come tutte le più belle cose finiscono, o Scialla rega’, biretta? Insomma l’incipit diventerebbe explicit e la cosa mi irriterebbe parecchio perché al di là dei paroloni mi sentirei presa per il culo. Oh.
Ho detto che non lo voglio scrive’ un pezzo d’addio e quantèvveroddio non lo scrivo!
Certo scrivere un pezzo sul fatto di non voler scrivere un pezzo di chiusura sarebbe geniale, anche se fastidiosamente svincolante. E prenditi le tue responsabilità emotive, Terrusi!
Forse il modo migliore per chiudere un capitolo è spiegare il senso del titolo che porta.
Lenticchie.
Si sa che le lenticchie sono pallosissime da cucinare.
Ci vuole un ballino d’acqua per ricoprirle tutte. E poi vanno fatte bollire.
E una volta bollite vanno girate.
E girate.
E girate.
E girate ancora e ancora e ancora e ancora.
In continuazione, finché non ti diventa il braccio potente e forzuto come quello di un quattordicenne single.
Ma non è che finisce così eh. Seh, pare facile. Una volta che sono sufficientemente tenere e l’acqua si è ritirata, occorre metterci il sugo. E gli odori, cipolla, carote, sedano eccetera.
In questo modo l’acqua si addensa e le lenticchie, in teoria, dovrebbero rapprendersi e cuocersi insieme al sugo creando un composto omogeneo e tenero ma non smosciato.
Il tutto solo e soltanto se le giri.
E le giri.
E le giri.
E se ti scappa la pipì, devi trattenerla per girare le lenticchie.
E se nel frattempo il tuo gatto sta giocando con i fili scoperti sul terrazzo, devi guardarlo friggere per girare le lenticchie.
E se in televisione stanno estraendo il tuo nome per quel gioco a premi a cui partecipi invano da millenni, non andrai a rispondere al telefono per girare le lenticchie.
Che poi le lenticchie sono buonissime, energetiche e ricche di proteine, alimento completo, roba consigliata almeno una volta a settimana, difatti.
Ma solo se le sai fare.
Altrimenti ti viene una sbobba immangiabile che si muove da sola e ti prega di gettarla nel cestino, e tu manco sai se va nel compostabile o nei rifiuti generici. Che se le cuoci troppo sembra moccio, se le cuoci poco era meglio farsi du’sassi in insalata.
E devi dosare il sale, e poi l’acqua. Troppa le rende insipide, troppo poca ti sbalza la pressione a cinquecento.
Ah, e ovviamente vanno girate.
E girate.
E girate.
E girate ancora.
E non devi distogliere mai lo sguardo, se non quando sono finalmente scolate e impiattate.
A quel punto, solo a quel punto, la fatica può dirsi finita.
Che poi finita non lo è mai, perché a digerirle ci vuole più tempo che a cucinarle.
Per cui né addii né ringraziamenti.
Solo buon appetito.
Alessia Terrusi
È come perdere il buongiorno di un amico . Non è possibile sperare di tornare a prendere il caffè insieme la mattina ? Comunque grazie , e grazie ancora .
Ma grazie a voi tutti, mo’ mi fate pure commuove’, ‘taccivostri <3